DI COSA SI TRATTA
Il favismo è una patologia genetica a carattere recessivo legata ad un difetto congenito legato al cromosoma X che porta ad una carenza di deidrogenasi glucosio-6 fosfato (G6PD) enzima essenziale per il metabolismo dei globuli rossi; circa 400 milioni di soggetti al mondo sono interessati da questa situazione, la cui diffusione si attesta prevalentemente nelle aree del Mediterraneo quindi Sardegna, Grecia, Asia meridionale e Africa.
Ricordo che il cromosoma X è uno dei due cromosomi sessuali presente in unica copia nel maschio (XY) e in duplice copia nella femmina (XX). Da ciò comprendiamo come mai il favismo colpisca in forma grave i maschi, mentre le femmine ne risultano portatrici sane e possono trasmettere il deficit genetico ai figli maschi o ammalarsi in forma lieve. Nei maschi infatti una copia alterata del genere è sufficiente a causare il deficit, mentre nel genere femminile la mutazione dovrebbe verificarsi in entrambe le copie del gene per promuovere la malattia, quindi il difetto del gene è spesso mascherato per metà dalla copia corretta del gene del cromosoma X ciò fa si che la situazione clinica risulti meno grave.
I genitori affetti da favismo possono trasmettere la malattia ai figli, nei quali di solito però si presenta in forma più lieve.
Il termine “favismo” nasce dal fatto che il consumo di fave espone i soggetti che presentano carenza di G6PD al rischio di crisi emolitiche; la causa sembra essere legata a sostanze come divicina e convicina potenti agenti ossidanti presenti in questi vegetali che fanno perdere la funzionalità al già poco espresso G6PD prodotto da questi soggetti.
In realtà non sono solamente le fave le uniche responsabili nello scatenare le crisi emolitiche nei fabici, ma tutte le Leguminose (o Fabacee o Papilionacee) a cui appartengono: il fagiolo (Phaseolus vulgaris L.), il pisello (Pisum sativum L.), la fava (Vicia faba L.), il lupino (Lupinus), il cece (Cicer arietinum L.), il caiano (Cajanus indicus), l'arachide (Arachis hypogaea L.), la soia (Glycine max (L.) Merr.), la lenticchia (Lens culinaris), la cicerchia (Lathyrus sativus) e alberi come la mimosa (Acacia), albero di giuda (Cercis siliquastrum), la robinia (Robinia pseudoacacia), il carrubo (Ceratonia siliqua), il tamarindo (Tamarindus indica), la grenadilla (Dalbergia melanoxylon).
SINTOMI DEL FAVISMO
I sintomi del favismo compaiono dopo circa 12-24 ore dall'assunzione di alcuni tipi di medicinali o di legumi freschi (soprattutto a rischio fave e piselli) portando il soggetto predisposto ad assumere il caratteristico colorito giallo intenso, pallore del carnato, urine scure di color giallo-arancio, febbre improvvisa, debolezza, respiro affannato e difficoltoso, polso accelerato e poco apprezzabile, vertigini, sclere oculari itteriche e nei casi più gravi collasso cardiocircolatorio.
Identificare e sospendere l’agente responsabile della crisi è fondamentale per gestire gli episodi di emolisi nei pazienti affetti da favismo; un’ ’emolisi se limitata spesso si risolve in una-due settimane.
Quando il favismo porta ad una crisi emolitica importante, l'unico rimedio è la trasfusione di sangue che deve essere effettuata al più presto al fine di scongiurare la rapida anemizzazione.
I soggetti affetti da emolisi cronica dovrebbero assumere quotidianamente integrazioni di acido folico, sempre sotto stretto controllo e approvazione del proprio ematologo.
PREVENZIONE
Per i soggetti affetti da carenza di G6PD l’indicazione migliore è quella di evitare l’ingestione di vegetali appartenenti alle Leguminose e l’assunzione di farmaci capaci di scatenare la malattia come:
- farmaci ossidanti (primachina, clorochina, pentaquine, ciprofloxacina, niridazole, norfloxacina, blu di metilene, cloramfenicolo)
- sulfamidici (sulfanilamide, sulfacetamide, sulfadimidina, sulfamerazina, sulfametossazolo)
- farmaci antiinfiammatori non steroidei (nitrofurantoina, fenazopiridina, nitrito di isobutile, naftalina, fenildrazina, acetanilide)
- farmaci antipiretici e vari antibiotici.
(qui l'elenco completo dei farmaci da evitare in caso di favismo).
Si raccomanda anche di tenersi lontani da tutti quelli che possono rappresentare i fattori scatenanti la patologia capaci di inibire l'attività dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi eritrocitaria, responsabili di impoverire ulteriormente i globuli rossi già carenti dell'enzima come:
- tutti i derivati dei legumi e i cibi che li contengono
- verbena hybrida
- arachidi
- mirtilli
- vino rosso
- acqua tonica o altre bevande contenenti chinino
- henné rosso egiziano(Lawsonia inermis) ed altri coloranti affini, usati in Italia sia per tatuaggi temporanei sia per tingere i capelli
- henné nero (Indigofera tinctoria)
- alimenti o integratori che contengono grandi quantità di vitamina C o coloranti blu artificiali
- mentolo, soprattutto presente nelle caramelle, dentifrici e colluttori quindi no anche alle mentine per l’alito e alle caramelle che lo contengono
- liquirizia
- melone amaro
- zucchero raffinato
- cibi ad elevato tenore di fruttosio
- sciroppo di mais
- farina bianca
- condimenti per insalate, minestre in scatola, patatine fritte, pesce in scatola, saluti, hot dog, salse, salsicce, alcuni salumi e formaggi
- solfiti che insieme all’anidride solforosa, da cui derivano, vengono comunemente impiegati nell’industria alimentare come conservanti. Possono anche trovarsi naturalmente in alcuni alimenti, come vino o pesce congelato (ad esempio nei gamberetti) e la loro azione è quella di inibire le deidrogenasi. Considerando che l’enzima carente nei fabici è proprio una deidrogenasi è consigliabile evitare assolutamente i prodotti che ne contengono.
I soggetti affetti da carenza di G6PD che manifestano anche morbo celiaco sono particolarmente limitati nel consumo alimentare in quanto molti cibi gluten free presentano fra i loro ingredienti principali piselli, lupino e soia.
Basti pensare a molte paste fresche, panificati di vario genere, molti dolci e biscotti formulati per soggetti celiaci che i fabici devono evitare . In questi casi è obbligatorio leggere attentamente l’ etichetta del prodotto in modo da scongiurarne l’ingestione.
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